Recensione: Il guardiano degli innocenti (La saga di Geralt di Rivia)

Se pronunciassi la parola “Witcher”, quale immagine per prima vi salterebbe in mente? Molti di voi, come è normale aspettarsi, vedrebbero la copertina di “The Witcher: Wild Hunt”, il videogioco sviluppato dalla casa Polacca CD Projekt RED e pubblicato dalla Namco Bandai/Warner Bros Games che ha riscosso un importante successo nel panorama videoludico, tanto da garantire al titolo il premio “Game of the Year” e alla CD Project il riconoscimento “Sviluppatore dell’anno” (quest’ultimo grazie alla scelta di rilasciare tutti i DLC completamente gratuiti).
Comunque, la parola “witcher” dovrebbe essere in realtà correlata ad un ciclo di opere ben più profondo della serie videoludica, sebbene il suo successo sul pubblicato sia stato radicalmente minore per cause essenzialmente linguistiche e, come sempre in questo mondo marcio, legate a marketing e pubblicità.
Sto infatti parlando della “Saga di Geralt di Rivia”, composta da due raccolte di racconti e cinque romanzi scritti da Andrzej Sapkowski.
Ma andiamo con ordine…

L’AUTORE
Andrzej Sapkowski nasce il 21 Giugno del 1948 in Polonia (appena finita la guerra, coincidenze?), studia economia e lavora come rappresentante alla vendita per una compagnia straniera. Comincia la carriera letteraria come traduttore di science fiction e scrive la prima storia breve, intitolata “Wiedzmin”, ovvero “Witcher”, per un concorso letterario in cui arriva terzo. La stessa sarà pubblicata nel 1986 e l’enorme successo riscosso lo spingerà a creare un ciclo di racconti sullo stesso tema, che gli frutteranno la fama di uno dei più conosciuti autori fantasy… in Polonia!
Già, per un motivo assurdo nessuno lo conosce. Povero Andrzej…
Tradotta in buona parte d’Europa e in America, la saga di Geralt di Rivia vince anche alcuni premi letterari, ma il grande successo arriva quando la CD Projekt RED, una casa sviluppatrice polacca, rilascia il primo gioco basato sul mondo del Witcher, innescando un fenomeno globale culminato lo scorso anno nella pubblicazione di “Wild Hunt”, il terzo videogame, che nonostante il budget limitato si dimostra all’altezza e migliore di tanti altri titoli “Tripla A” di contemporanea uscita.

L’OPERA
La saga si compone di due raccolte di racconti, “L’ultimo desiderio” e “La spada del destino”, e di cinque romanzi: (in ordine cronologico) “Il sangue degli elfi”, “Il tempo della guerra”, “Il battesimo del fuoco”, “La torre della rondine” e “La signora del lago”; tutti editi in Italia da “Editrice Nord”. Il titolo del primo libro, “L’ultimo desiderio”, è stato tradotto in Italia come “Il guardiano degli innocenti”. Non chiedete perché, l’unisco scopo pare smentire la decenza del libro. Scelte editoriali…
L’opera che intendo presentarvi è, invero, proprio “Il guardiano degli innocenti”.
Come già detto, esso è una raccolta di cinque storie autoconcludenti che ripercorrono alcune delle avventure affrontate dal Witcher nel corso dei suoi viaggi. Questi racconti si identificano come flashback del protagonista nel corso della vicenda principale “La voce della ragione”, divisa in episodi posti ad intervallo fra le altre storie.

Schema brutto che illustra (in maniera semplificata) lo schema dell'opera

SINOSSI
Il protagonista è Geralt di Rivia, un Witcher, ovvero un umano che ha subito l’azione di mutageni e magia, insieme ad un duro addestramento nell’uso delle armi e della mente, al fine di diventare un cacciatore di mostri. Il paese è infatti invaso da Grifoni, Vampiri, Demoni e Creature Extraplanari e quanto la mente acuta di Andrzej Sapkowski è riuscita a estrapolare dai miti Europei e in particolare nordici sulla magia nascosta nelle selve. Nella raccolta “Il guardiano degli innocenti” Geralt svolge alcuni incarichi nel paese, a volte risolvendoli a fil di spada e a volte con l’astuzia e l’acume, ponendo anche le basi per gli eventi dei futuri libri e (questa è una chicca) di Wild Hunt.

COMMENTO
Mentre scrivevo la recensione, mi sono chiesto se dovessi aggiungere una voce “personaggi” per meglio delineare la figura di Geralt; ho tuttavia realizzato infine che mi sarebbe stato impossibile distinguere il commento dell’opera dalla spassionata critica per il protagonista, in quanto l’intera vicenda e la preziosità di questo libro risiedono entrambe nella figura sfaccettata del Witcher.
Al contrario di molti fantasy moderni, colmi di amletici dubbi d’esistenzialismo cosmico e personaggi con la profondità morale d’un fagiolo, stereotipati all’estremo e per lo più privi di una vera personalità, Geralt di Rivia spicca quale paradigma dell’uomo di coscienza che affronta il mondo alla luce della propria morale e dell’intelletto. Non vi sono scelte giuste, né sbagliate, perché (come sarà discusso in uno degli episodi) alla fine si è costretti a scegliere “il male minore” se si vuole agire secondo giustizia. Il discernimento fra giustizia e iniquità, fra dolore grande e minore, compete tuttavia al singolo e dunque non v’è una scelta unica, corretta e “giusta”. Il dilemma morale cui Geralt è costantemente soggetto a causa della propria professione di cacciatore di mostri, in pratica l’idea generale che il popolo ha di lui come un assassino professionista di esseri di cui si ha timore perché sconosciuti e forse malvagi, ha costretto il Witcher ad imporsi una linea d’azione specifica: agire secondo il proprio codice morale, una serie di asserzioni cui nessuna lingua e alcun luccicante conio può ergersi al di sopra. In tal modo mantiene la propria libertà di scelta nonostante l’obbligo del contratto.
Geralt ha subito una trasformazione permanente che ha lasciato duri segni sulla sua anima e sul suo corpo, è sterile e non più puramente umano, la sua umanità tuttavia sopravvive nonostante il dolore e le avversità di un mondo cinico e brutale, dove sopravvivono i potenti e i violenti, dove il sangue è più efficace delle parole nel risolvere le controversie. Per questo, se non costretto, il Witcher attende a sfoderare la lama e gioca d’astuzia e magia, nella coscienza di poter riportar sui cardini, un passo alla volta, questo mondo distorto.
Il protagonista dunque ha una personalità ben delineata e fondamentale per lo sviluppo della vicenda. Che dire della narrazione?
“Il guardiano degli innocenti” è il primo romanzo di Andrzej Sapkowski, e ciò si denota nella struttura a volte giornalistica e spiccia dei periodi, che manca essenzialmente di un apparato descrittivo soddisfacente (basti pensare che le uniche informazioni sulla fisionomia di Geralt sono che ha i capelli bianchi e una cicatrice sulla gola. Fine). Nonostante questo, il ritmo incalzante sostenuto da frasi ad effetto che non lasciano spazio ad inutili divagazioni, l’uso sapiente del dialogo diretto e dei piccoli sprazzi di descrizione riguardo all’atteggiamento che i personaggi assumono durante la discussione contribuiscono a mantenere il lettore costantemente incollato alla pagina, rendendo la narrazione scorrevole e leggera, coerente ed esaustiva. Lo stile di Andrzej Sapkowski in questo romanzo si potrebbe definire “cinematografico”. Si ha difatti l’impressione di osservare una pellicola, con inquadrature rapide e sapienti capaci di cogliere l’inclinazione d’un sopracciglio, il tremore d’un labbro, il baleno negli occhi di una donna sensuale quanto pericolosa, il tutto ripreso dalla prospettiva per lo più prossima a Geralt, raramente a focalizzazione zero, che lascia ampio spazio alle impressioni e ai pensieri del protagonista. Si ha così il modo di vivere ogni vicenda dalla prospettiva del Witcher, calandosi nel suo personaggio e cogliendo ogni respiro in trepidante attesa che si scateni la tempesta.
Lo stile scarno ma efficace si accompagna ad una narrazione ben architettata che non dà spazio a tempi morti, sempre scorre come il mondo e ad esso correlato. Non vi sono, ovvero, stupide dilatazioni temporali dove un povero cristo si dispera per ore mentre gli eventi accadono in un nanosecondo. Le immagini sono come baleni nella tempesta, dove si ha il tempo di cogliere un dettaglio fuggente ma stupendo, e già torna l’oscurità. Nell’ombra il Witcher si muove e le sue parole sono l’unico faro di luce.
Un’ultima nota è riservata alla natura delle storie.
Confesso che sono rimasto molto colpito nel rendermi conto che almeno tre dei racconti sono ispirati alle fiabe popolari della nostra infanzia. In particolare: “La bella e la bestia” completamente rovesciato di ruoli; “Biancaneve” assassina sadica e meretrice subdola (che mi ha strappato non poche risate) e infine il mito di Tremotino rivisto in chiave dark, ma molto divertente. La genialità risiede a volte nel cogliere la normalità e reinterpretarla alla luce della propria anima; in tal modo Andrzej Sapkowski ha riscritto le fiabe sotto una luce di disincanto che la ha tradotte nella nostra spietata, pregiudizievole e illusa realtà.

CONCLUSIONE
Il libro è corto, appena trecento pagine, e posso con piacere asserire d’averlo divorato in una settimana. L’ho trovato entusiasmante, la narrazione serrata mi teneva sulla pagina sino alla fine della storia e subito mi coglieva il desiderio di leggerne un’altra. Questo libro scorre come le lacrime sulle mie guance alle risate che mi hanno contorto lo stomaco nel leggere cosa Biancaneve ne ha fatto dei poveri Sette Nani. Le storie sono divertenti e colgono l’occasione per ispirare la riflessione sul senso intimo della realtà e la coscienza umana, ripresa dagli occhi di un protagonista più umano degli umani, nonostante (o forse a merito) della sua natura deviata.
Lo consiglio a tutti, sia per il modico prezzo (9€ il formato E-book) sia per l’effettiva qualità del lavoro. Ho dato un’occhiata al secondo capitolo della saga, “la spada del destino”, ed è anche migliore: lo stile si è evoluto lasciando maggiore spazio alla descrizione e aggiungendo un pizzico di complessità a favore di una visione più ampia e chiara del meraviglioso mondo di The Witcher.
Buona lettura!

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