Il Fiore di Carta: il nome della poesia


La scrittura è una gran seccatura.

Guarda, pure la rima ho fatto nell'incipit. Ma comunque...
Scrivere è una gran seccatura, perché l'azione stessa del porsi alla tastiera di fronte a un foglio bianco riesce a materializzare il significato del proverbio: "Fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare".

Ora mi spiego.
Di sera, mentre torno a casa in macchina o in bicicletta, il silenzio dell'oscurità di stelle fioche mi ricorda pressante che, in quanto scrittore, sarebbe mio dovere colmare tale vuoto. La mente allora, ligia alla mission etica affidatale dalla divina providentia, s'appresta a comporre: frasi rapide, a volte sconnesse, ma pregne di quella fiamma viva, arcana e magnifica, che accende un brivido freddo lungo la schiena e un languido mare nel cuore.
Così, finalmente arrivato a casa, lancio tutto alla rinfusa - scarpe chiavi borsa vestiti - e tengo addosso solamente gli umori e le idee, ingredienti base della bellezza.
Mi siedo al computer, accendo l'attrezzo, riscaldo le dita sulla tastiera.
...
E niente, è il vuoto.

La parola scritta è capricciosa

Giusto è così che sia, d'altronde.
Perché, vedete, se alla poesia non fosse concesso d'esprimere appieno l'umanità che l'ha generata, in nulla sarebbe dissimile da un elenco didattico e opprimente di costruzioni lessicali ridondanti e pedanti (notare come abbia reso il concetto tramite l'architettura di questa stessa frase). L'arte sgorga dal più profondo senso d'umanità, che comprende tanto il sentimento quanto il raziocinio, uniti in danza per forgiare un pensiero armonico.

In quanto umana, dunque, la poesia può esser capricciosa e meschina.
E credetemi, lo è per la maggior parte del tempo.

Le parole giuste non accorrono alla lingua o alle dita solamente perché lo scrittore, tramite d'esse, è pronto e deciso a comporre. No, macché! Cogliere il giusto frangente che suggerisca la bellezza equivale a giocar di lotteria: mille volte perdi, una sola voli.
Ed è proprio questo che fa la poesia: ti mette le ali.

Ci sono sere, quando il mondo ormai ti scivola addosso e senti l'anima quanto mai vicina e palpabile, mentre il pensiero sonnecchia esausto, ci sono sere dico che quasi senza accorgertene ti ritrovi alla tastiera e le tue dita, sì le tue (incredibile!), corrono come il vento menando i tasti quasi fossero di pianoforte e la melodia suona chiara: sono le note della tua anima. Allora scrivere è leggero e semplice, è quanto di più ovvio e normale la natura stessa dell'uomo, di carne e spirito, istinto e superior funzione, possa svolgere; si riconoscono le frasi in tal maniera vergate perché a leggerle anche gli occhi inseguono l'emozione sfuggente e la ghermiscono, riga a riga, paragrafo a sensazione, fino a lasciare un segno nel cuore. Sono quei passi che mentre li leggi ti fan tremare le dita e il petto, che poi abbassi il libro e guardi smarrito il soffitto muto.

Ci sono sere, invece, che per tedio e bisogno ti siedi svogliato, la schiena grida dolore, la mente annebbiata porta la mano a scandagliare facebook, youtube, qualche sito d'anime o manga, trenitalia perché no (fanno ancora l'offerta per il weekend?). In quelle sere l'orologio bastardo decide che il secondo dura 3/4 del normale, e così da un momento all'altro - porca vacca - si son fatte le undici. E allora che fai, ti metti a scrivere ora? Valà! Che domani è una giornata lunga e ci son gli esami e devi studiare e devi comporre e devi scrivere e la nonna col femore rotto e le bollette da pagare...
Cavoli, la bolletta!

Ci sono sere che proprio le parole non hanno voglia di nascere, e il seme rimane scostantemente verde e silenzioso. Ci sono sere che la bellezza improvvisa fra le tue dita sboccia lasciandoti ammutolito, perché non capisci da quale profondo meandro dell'essere insulso che chiami "me stesso" possa sorgere una tale luce.
Discorsi magniloquenti, i miei: vi assicuro però che le impressioni sono queste.

La poesia è Luna, noi il suo tramite

Mi sento quasi in colpa, lo confesso, a professarmi "scrittore". Invero, sono poco più d'un coglione che ha letto qualche libro e ne ha scritti una decina (e quanti di questi sono non conclusi, inconcludenti o sconosciuti!). Mi sento in colpa perché, senza pubblico, senza qualcuno che possa in effetti apprezzare le mie parole, sono solo un folle che grida nel vento.

Quando ancora ero giovane e illuso, e credevo che l'arte fosse debitamente riconosciuta dal mondo, mi dissi: "Io sarò uno scrittore". Presi questa decisione, assurdo dirlo, non per scelta, ma per vocazione: avevo udito il canto della Luna.
Nella notte che di puro oceano illumina il mondo addormentato, nel silenzio irreale delle strade deserte e delle stelle ammantate di nubi, potevo ascoltare la voce di Selene narrarmi di paesi sconosciuti e prossimi, la storia d'un ragazzo con la morte nel cuore e la speranza negli occhi annebbiati d'un vecchio; potevo quasi vederla, la fanciulla di tenebra e il soldato disilluso, il coraggioso guerriero e il malevolo spiro di morte nella valle nera; camminavo e danzavo al fianco del folle studioso e della ragazza dal cuore di rosa.

Sebbene assordato dal frastuono del mondo e dal fracasso malevolo della società irrequieta, ci sono sere che ancora riesco ad ascoltare il canto della Luna. Allora il mio cuore freme e l'anima stessa traballa, il sangue impetuoso m'infiamma e vorrei aver fra le dita la carta e la penna, che il vento mi sollevi dal mondo un istante soltanto e mi lasci scrivere quel che Selene sussurra!
Ma il sogno lesto svanisce. Rimane la stanchezza, gli occhi pesanti sulle iridi arrossate, e la mia voglia inaridita d'inseguire una passione, una vocazione, che non mi riserva più certezze.

Scrivere

Voglio così intitolare l'ultimo paragrafo di questa mia sperequazione sin troppo spinta. Tanto è vero che tendo a diventare criptico ed eterno, nella costruzione delle frasi, quando sono stanco.
E lo sono, credetemi.

Ho voluto raccontarvi un frammento di quel che per me, e ripeto, per me, significa essere uno scrittore. Probabilmente per i "professionisti" del mestiere, gente che di libri ne ha letti molti più di me e forse ci si è anche laureato, in letteratura, è diverso; ma per me, essere uno scrittore vuol dire questo: ascoltare il canto della Luna, una voce che viene dal profondo dell'anima e corre negli argini che la mente ha intessuto, a volte seguendoli e molto spesso infrangendoli per delineare nuovi scenari, e porre la dolce melodia su carta.
Da qui, il mio nome:
La bellezza che sboccia dalle parole: Il fiore di carta
Non so quanti di voi siano arrivati a leggere sino a questo punto. Tuttavia, vi ringrazio, perché poter finalmente donare le mie parole a qualcuno è la più grande gioia e soddisfazione che a questo sprovveduto giovane sia concessa.

Giacomo Soraperra




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